L’art. 33 della L. n. 104/1992 prevede che il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste un familiare con handicap in situazione di gravità  (ai sensi dell’art 3 co. 3 della stessa legge), ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
Si tratta di un diritto soggettivo del dipendente, che assiste con continuità un familiare portatore di handicap grave, ad essere assegnato dal datore di lavoro alla sede più vicina al domicilio del familiare destinatario dell’assistenza.
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con recente sentenza n. 704/2021, ha precisato che tale diritto sussiste non solo all’inizio, ma anche nel corso del rapporto del lavoro.
Il termine “ove possibile” va inteso che, in un bilanciamento tra gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, l’esercizio del diritto del lavoratore non deve ledere in maniera significativa le esigenze economiche, organizzative e produttive del datore di lavoro, traducendosi in un danno per l’attività della parte datoriale.
Tuttavia la Corte ha evidenziato che grava sul datore di lavoro, privato o pubblico, l’onere della prova di circostanze ostative all’esercizio di tale diritto soggettivo.
In particolare, la Corte ha escluso la sussistenza di una esigenza organizzativa datoriale prevalente ed insindacabile, di fronte alla quale potesse validamente ipotizzarsi una retrocessione del diritto del dipendente ad assistere il familiare disabile, a fronte della sussistenza di numerosi posti vacanti, uno dei quali avrebbe potuto agevolmente essere destinato alle esigenze del lavoratore.
A cura dell’avv. Marina Verzoni, Servizio legale InCerchio